È tarda sera quando arrivo a Cracovia, via Francoforte. Stanca ma contenta di aver messo il primo tassello di una missione a cui penso dal primo giorno di quest’assurda guerra.
La mattina la sveglia è alle 4, un’ora dopo sono già in macchina: destinazione Leopoli. È un’alba gelida, ci attendono 370 chilometri e la strada piena di neve ci accompagna. Una volta in prossimità della frontiera, l’autista deve lasciarmi e devo proseguire a piedi verso il posto di blocco per il controllo passaporti. La scena che mi si presenta davanti è quella che purtroppo da oltre un mese vediamo su tutti i telegiornali. Dal lato dell’uscita, centinaia di donne e bambini in fila per scappare dalla guerra: sono i fortunati, coloro che sono riusciti a percorrere i pericolosi corridoi umanitari e mettersi in salvo. Poi c’è chi, insieme a me, va in senso contrario e in Ucraina vuole entrare. Sono davvero tante le donne che rientrano a lottare per la libertà del loro Paese. Scambio con loro qualche parola ma a dire tutto sono i loro occhi fieri, l’orgoglio di dare il proprio contributo. Non c’è spazio per la paura, non ancora.
